lunedì 30 aprile 2012

ZUPPA DI COZZE



Ingredienti e dosi per due porzioni

-   un chilo di cozze;

-   un pomodoro ramato o perino;

-   50 grammi di olio in cui ha fritto dell’aglio (v. filetti di pomodoro);

-   mezzo bicchiere di vino bianco secco;

-   un etto e mezzo o due di pane rustico non freschissimo a fette;

-   facoltativi: un pizzico di peperoncino e un cucchiaio di prezzemolo tritato.

Procedimento

Preliminari

Al momento di acquistare i molluschi fatevi indicare dal pescivendolo la data di confezionamento (è obbligatoriamente esposta per legge sulla confezione sigillata): se è di ieri siamo al massimo della freschezza; se dell’altro ieri compratele pure; se più remota lasciate perdere.

Conservate i molluschi in frigorifero, così come li avete comprati, fino a 3-4 ore prima della cottura; buttate via quelli che, prima della cottura, si sono aperti da soli.

Tre o quattro ore prima della cottura, prendete le vostre cozze e date loro un primo sommario bagno in acqua fresca; poi immergetele in abbondante acqua salata al 25 per mille (25 grammi di sale fino per ogni litro di acqua) e tenetevele per un paio d’ore.


Duro lavoro

Al termine del bagno in acqua salata pescate delicatamente le cozze con le mani e trasferitele da qualche altra parte. Buttate via l’acqua, che risulterà torbida e col fondo ricco di residui.

Prendete in una mano ciascuna cozza e raschiatela con un coltello, d’ambo i lati, sotto il filo del rubinetto. Quindi, tenendo premute le due valve, strappate via il bisso, quella specie di stoppa che sta un po’ dentro e un po’ fuori dal guscio: l’operazione si compie tirando in senso longitudinale dalla parte più stretta del guscio a quella più larga, tondeggiante.



Le cozze private del bisso possono resistere al massimo un paio d’ore: dopo si aprono, perdendo irrimediabilmente succo e sapore. Comunque, se non le mettete subito a cuocere, tenetele fino a quel momento ancora in acqua salata (ma sempre per un massimo di due ore).

Divertimento e creatività (finale)

Mettete al fuoco una casseruola da 24 cm con dentro l’olio all’aglio, l’eventuale pizzico di peperoncino e il pomodoro pelato, dissemato e tagliato a pezzi molto piccoli (se non avete voglia di sbollentarlo, lo potete pelare con un pelapomodori: è come un pelapatate molto affilato). Fate soffriggere il pomodoro per un paio di minuti, quindi versatevi il vino e sfumatelo quasi del tutto.


Risciacquate le cozze in acqua dolce, scolatele alla meglio e versatele nella casseruola. Coprite, tenete il fuoco a potenza medio bassa, e rigirate ogni tanto. In cinque minuti dovrebbero essersi aperte tutte; se alcune sono rimaste chiuse, provate a tenerle ancora un po’ al fuoco: se persistono nel loro stato di chiusura, buttatele via.


Se non servite subito, lasciate pure raffreddare e poi riscaldate: non tenete costantemente al fuoco.

Un attimo prima di servire mescolate alla zuppa l’eventuale prezzemolo tritato.

In tavola le fette di pane tostate o grigliate.


venerdì 27 aprile 2012

VITELLO TONNATO


Pietanza conosciutissima e abusatissima: si trova anche in vendita già pronta, nei supermercati e nelle salumerie. Ne esistono infinite versioni: la mia è una di esse, e, come sempre, non è copiata, ma sperimentata con discreto successo. Le sue caratteristiche sono:

-   tenerezza della carne e assenza di tessuto connettivo (dipende dal giusto tempo di cottura e dalla scelta del taglio);

 -  possibilità di utilizzare il liquido di cottura come brodo (dipende da cosa si aggiunge all’acqua di cottura);

-   lunghi tempi di attesa per cottura e raffreddamento, ma pochissimo lavoro (usando una maionese già pronta, cosa per niente disdicevole);

-   buon sapore (ovviamente).


Ingredienti e dosi per 4-6 porzioni


Per la carne

-   un pezzo di codone di vitello di circa un chilo (solitamente si usa il magatello, ma il codone è più morbido);

-   due o tre carote, altrettanti gambi di sedano e due spicchi d’aglio;

-   circa mezzo chilo di ossa da brodo.



Per la salsa

-   tonno sott’olio sgocciolato: g 250 (qualità a piacere; ma tenete presente che in qualsiasi preparazione ciò che mettete troverete);

-   acciughe sott’olio sgocciolate: g 25;

-   maionese: g 250. Se volete fare voi la maionese, potete seguire la mia RICETTA DELLA MAIONESE evitando di mettere il sale. Per la salsa del vitello tonnato infatti, dove il sale è già presente nelle acciughe, nel tonno e nei capperi usati come guarnizione, una maionese priva di sale è perfetta.


Per guarnizione (eventuale)

-   un pugno di capperi sotto sale;

-   qualche fettina di limone.


Procedimento


1)  Cottura della carne


1.1)   Lavate il sedano e le carote; tagliate le carote in due per il lungo e il sedano come vi pare; lasciate la buccia all’aglio. Mettete le verdure insieme alle ossa in una pentola da 24 cm con due litri e mezzo di acqua non salata; portate a bollore e lasciate sobbollire per mezz’ora.

1.2)   Date una forma per quanto possibile cilindrica al pezzo di carne con qualche giro di spago; salatelo poco (sette o otto grammi di sale), e tuffatelo nel brodo bollente. Lasciate sobbollire per due ore e un quarto.



1.3)   Mettete la pentola a raffreddare nel lavandino pieno d’acqua. Dopo due o tre quarti d’ora, quando il brodo sarà intiepidito, toglietene la carne e mettetela in un altro recipiente; copritela con il brodo filtrato e buttate via tutto il resto, salvo che riusciate a recuperare qualcosa dalle ossa. Tenete in frigorifero fino a completo raffreddamento e anche oltre, se vi fa comodo.   


2)  Preparazione della salsa


2.1)   In un recipiente a fondo bombato mettete il tonno sgocciolato, le acciughe e 100 grammi di brodo rubati dal recipiente della carne. Lavorate il tutto con un frullatore a immersione, alla massima velocità, fino a ottenere una crema omogenea:  dovreste impiegarci un tempo intorno ai tre minuti, variabile in base alla potenza del frullatore.



2.2)   Unite la maionese al tonno frullato e mescolate con un cucchiaio. La salsa tonnata è pronta.



3)  Composizione finale e servizio

3.1)   Togliete il pezzo dal brodo, e affettatelo sottilmente (5 mm) con un coltello lungo e affilatissimo. Togliete il grasso che si sarà rappreso sulla superficie del brodo e conservate quest’ultimo per l’uso che vorrete.

3.2)   Ponete le fette a strati in un piatto da portata e coprite di salsa ogni strato.

3.3)   Guarnite, se volete, con capperi dissalati (sciacquati e poi tenuti a bagno una mezz’ora in un litro di acqua) e con fettine di limone.

3.4)   Conservate il piatto in frigorifero e toglietevelo una mezz’ora prima di servire. Potete accompagnarlo con una giardiniera di verdure in agrodolce.






lunedì 23 aprile 2012

PESTO AL BASILICO




Lo chiamo “pesto al basilico” anziché “pesto ligure” o “pesto genovese” perché non ne posso più delle affermazioni di autenticità del vero pesto ligure o del vero risotto alla milanese o di altre mille vere ricette. Che mi importa di una ricetta che mi raccomanda di usare rigorosamente il mortaio di marmo per rispetto della tradizione (ma la tradizione affonda le radici in un tempo in cui i frullatori semplicemente non erano ancora stati inventati) e poi non mi dice quanto basilico devo usare per un etto di pasta secca? (In prestigiosi ricettari si va da sei foglie a porzione ad “abbondante basilico”). Né voglio correre il rischio che qualcuno mi scriva per puntualizzare che si deve usare il sale grosso o altri preziosismi del genere; anzi, alcuni di questi, rilevati da varie ricette, ve li segnalo qui di seguito per vostra sovrabbondante conoscenza.


-  Il basilico dev’essere di Prà, ma solo le foglie piccole.

Prà è un quartiere di Genova: sicuramente vi si coltiva del buon basilico, ma se tutti volessimo usare solo quello… E’ vero, invece, che il basilico deve avere un buon profumo, del tutto esente da sentori di menta o di altre erbe.
 

-  Le foglie vanno lavate e lasciate asciugare su un canovaccio.

Lavate, va bene, ma perché lasciarle per ore ad appassire sul canovaccio? E’ tanto comoda ed efficace una centrifuga da insalata.
 

- Le foglie non vanno lavate, ma pulite con un panno morbido.

Non ci sono commenti.
 

- L’aglio dev’essere di Vessalico.

Vessalico è un piccolo comune (circa 10 chilometri quadrati per circa 300 abitanti) in provincia di Imperia. Vi si pratica una tipica coltivazione di aglio: ma siamo al massimo dello snobismo! Io, poi, l’aglio non ce lo metto proprio.
 

- La lavorazione dev’essere effettuata nel mortaio e non col frullatore che, scaldandosi, rovina il gusto del basilico.

Questa è la bufala più gettonata: in anni e anni di esercizio nessuno dei miei frullatori si è mai scaldato nei tre minuti necessari a trasformare il basilico in salsa. La tradizione contempla il mortaio perché le prime ricette del pesto risalgono alla metà dell’ottocento, e a quel tempo i frullatori dovevano ancora affermarsi.



- Il sale dev’essere grosso affinché svolga, nel mortaio, un’azione abrasiva.

Ma dopo tre colpi di pestello il sale ha smesso di essere “grosso”.


Per me ciò che conta in una preparazione, più che l’adesione cieca a precetti tradizionali, è la qualità del risultato, cioè la bontà che ne risulta alla fine: ad essa concorrono la qualità dei singoli ingredienti e un corretto procedimento di lavoro. Altri valori da me perseguiti nella compilazione delle ricette sono:

-   non far perdere tempo con manovre di cui non sia dimostrata l’utilità;

-   fornire tutte le indicazioni utili, compresa, se possibile, la grammatura del sale.


La mia ricetta del pesto nasce dallo smodato piacere che mi dà il profumo del basilico e dall’intento di imitare al massimo il gusto forte e delicato, morbido e deciso, goloso e raffinato che facilmente si apprezza nella generalità dei ristoranti liguri. Lì il pesto si presenta come una crema che avvolge generosamente ogni singolo pezzo di pasta, e ne avanza ancora un po’. Dopo diversi esperimenti ho definito le seguenti dosi.
 

Per 100 grammi di pasta secca (trenette) o per 120 di pasta fresca (trofie)

- foglie di basilico lavate e asciugate: g 24;

- olio e.v.o. (quello che piace a voi, anche se non è ligure): g 24;

- pinoli: da g 12 (gusto normale) a g 16 (gusto più dolce);

- formaggio grattugiato: g 12 di parmigiano o grana, sostituibile in parte con del pecorino (io uso solo parmigiano o grana);

- sale: mezzo grammo;

- aglio: da un terzo di grammo (una fettina: vi assicuro che si sente) a niente (per me, niente).
 

Procedimento

Mettete tutti gli ingredienti tranne il formaggio in un contenitore dal fondo bombato, e lavorateli con un frullatore a immersione alla massima velocità, fino ad avere una crema. A seconda della quantità del prodotto e della potenza del frullatore dovreste impiegarci dai due ai quattro minuti. Aggiungete il formaggio e frullate per altri trenta secondi. Fine.

Se non lo usate immediatamente, mettete il pesto in un contenitore adeguato (potrebbe anche essere quello dove lo avete lavorato), coperto da un velo d’olio, e riponetelo in frigorifero. Si conserva per quattro o cinque giorni. Se volete conservarlo più a lungo, mettetelo in un contenitore di plastica e surgelatelo: si conserva benissimo per qualche mese: al momento dell’uso lo si lascia scongelare a temperatura ambiente o in un bagnomaria tiepido o (con molta precauzione affinché non cuocia) nel forno a microonde, e poi lo si usa come fresco.

Utilizzo
 
Con le proporzioni di questa ricetta (e anche di altre) il pesto non può essere usato così com’è per condire la pasta: sarebbe troppo denso. Va quindi diluito, al momento dell’uso, con un liquido caldo: va benissimo l’acqua della pasta, due minuti prima di scolare: se ne aggiunge un 15% circa del peso del pesto (per chi non ama i calcoli si tratta di una cucchiaiata a porzione, se le porzioni sono di 90 grammi di pasta e se tutto viene fatto con le proporzioni di questa ricetta) e lo si mescola subito: deve venire una crema morbida ma non liquida. Una mia amica francese usa efficacemente della panna calda.

Dunque: si scalda la terrina ove verrà condita la pasta; vi si adagia il pesto (secondo le dosi di questa ricetta sono circa 75 grammi per ogni 100 di pasta); si stempera con un po’ di acqua calda; vi si versa la pasta scolata, si mescola e si serve.





Pesto “avvantaggiato”

Si chiama così una versione di questo piatto che prevede di mescolare alla pasta patate e fagiolini.

Più esattamente si tratta di sostituire una parte della pasta con una certa quantità di questi ortaggi. Le dosi sono evidentemente a piacere: tuttavia, per un rapporto equilibrato, si suggeriscono le seguenti: per ogni 100 grammi di pasta, se ne tolgono 20 e si aggiungono 50 grammi di patata comune, a fette, e 30 grammi di fagiolini giovani e sottili.

Le patate andranno affettate allo spessore di otto millimetri; i fagiolini spuntati e lasciati interi. Cuociono, le une e gli altri, insieme alla pasta; e perché giungano a cottura nello stesso momento, occorre considerarne i tempi che, per questo scopo, sono di circa dieci minuti per le patate affettate come detto, e di circa otto per fagiolini sottili, del diametro di 5 o 6 millimetri. Per altri scopi, ad esempio, se voleste usare questi ortaggi per un’insalata, dovreste tenerli un po’ più al dente.



La ricetta in breve

Per 100 grammi di pasta secca (trenette) o per 120 di pasta fresca (trofie)
 
- foglie di basilico: g 24;

- olio e.v.o. :  g 24;

- pinoli: da g 12 a g 16; 

- formaggio grattugiato: g 12; 

- sale: mezzo grammo;

- aglio: una fettina o niente.


Procedimento
 
Frullate tutto, tranne il formaggio, per tre minuti.

Aggiungete il formaggio e frullate per altri trenta secondi.

Al momento dell’uso stemperate la salsa con un po’ di acqua calda.



martedì 17 aprile 2012

TORTA DI RICOTTA IN INVOLUCRO DI PASTA FROLLA


1) PASTA FROLLA DOLCE Ingredienti e dosi per una teglia da 22 cm di diametro

-      farina tipo 0 (o mista 0 e 00): g 200;
-      burro: g 100;
-      zucchero: g 90;
-      tuorli (da uova grandi o medio - grandi): n 2;
-      latte: g 20 (2 cucchiai);
-      aromi: mezza bustina di vanillina e la buccia grattugiata di mezzo limone.

Procedimento pasta frolla
 
1.1)      Mettete in una terrina farina, zucchero, burro e aromi; il burro appena tolto dal frigorifero e tagliato in 4 o 5 pezzi; mescolate il tutto, sbriciolando il burro fra le dita; in due minuti si sarà Prodotto uno sfarinato di una certa omogeneità.
 
1.2)      Aggiungete i tuorli e lavorate ancora per due o tre minuti: la pasta sarà un po’ più umida di prima, ma non ancora abbastanza da stare insieme; controllate che i tuorli siano omogeneamente distribuiti.

1.3)      Aggiungete il latte. Questa piccola quantità di liquido cambierà completamente la consistenza del vostro composto: con pochi movimenti riuscirete a farne una pasta omogenea. Non lavoratela più del necessario; fatene una palla o un cilindro; ricopritela con pellicola e mettetela in frigorifero: deve starci almeno mezz’ora; d’estate anche un’ora; se di più non guasta e, se fa comodo, ci può stare anche un giorno intero.






 
2) RIPIENO DI RICOTTA E GUARNIZIONE FINALE

Ingredienti e dosi
-ricotta: g 500;
-zucchero: g 150;
-uova: n 1 + un albume;
-gocce di cioccolato o cioccolato fondente a pezzetti: g 100
(in parte sostituibili con cubetti di buccia d’arancia e/o di cedro candite).
-una dozzina di ciliegie candite.

Procedimento

2.1)      Mettete in un contenitore, meglio se a fondo bombato, la ricotta, lo zucchero e le uova; lavorate il tutto con una forchetta, dall’alto al basso, schiacciando la ricotta fra i rebbi. In due minuti si sarà tutto omogeneizzato. Buttate via i ricettari che dicono di passare la ricotta da un setaccio.

2.2.)     Aggiungete le gocce di cioccolato con gli eventuali dadini di buccia di agrumi e mescolate il tutto con un cucchiaio. Tenete in frigorifero fino alla fase 3).

3)         Finale
3.1)      Prendete la pasta frolla dal frigorifero. Se c’è stata un tempo breve, come un’ora o giù di lì, prelevatene un tre quarti e provate a stenderla col mattarello allo spessore di 4 mm, in forma pressoché rotonda. La stesura si fa su un piano di lavoro infarinato (tavolo di marmo, spianatoia di legno, semplice canovaccio di cotone). Se tutto ok passate al punto 3.2); se invece, com’è probabile, la pasta si rompe sotto l’azione del mattarello e non consente di essere maneggiata in un foglio compatto, dovete raccoglierla e di nuovo impastarla per mezzo minuto senza assorbire farina dal piano di lavoro; quindi la stenderete con sicuro successo.
 
 Se la pasta è stata in frigorifero parecchie ore ed è diventata dura intrattabile, non potete stenderla così com’è: dovrete prima lavorarla per qualche minuto, anche qui senza assorbire  farina: all’inizio si sbriciolerà tutta, ma in poche mosse la ridurrete facilmente alla consistenza voluta, morbida e plastica. Quindi stendetene tre quarti, come detto sopra, allo spessore di 4 mm.    
 
Nota La stesura allo spessore voluto, omogeneo per tutta l’area della pasta, non è un’operazione facilissima: lo diventa se usate la guida di due listelli di qualsiasi materiale, dello spessore opportuno, da mettere ai lati della pasta e sui quali fare scorrere il mattarello (che dovrà essere di una certa lunghezza).

3.2)      Coprite il fondo della teglia con un disco di carta – forno. Foderate tutta la teglia con la pasta che avete appena steso, premendo opportunamente contro la parete affinché la pasta aderisca a ogni parte della teglia. Lasciate un bordo alto circa 3 centimetri, e tagliate via la pasta in eccesso.
3.3)      Impastate per mezzo minuto la pasta tagliata via dalla teglia con quella rimasta non stesa, e stendete il tutto allo spessore di 3 mm. Con un coltello o, meglio, una rotella da pasta, tagliate questa sfoglia in strisce da 10-12 mm di larghezza.

3.4)      Versate il ripieno nella teglia foderata di frolla, livellatelo e decoratene la superficie con le strisce del punto 3.3). Se volete, potete coprire gli spazi lasciati vuoti dall’intreccio di strisce con mezze ciliegie candite o con pezzetti di cioccolato.

3.5)      Infornate in forno già caldo a 170°C e tenete per 55’ + 10’ a forno spento semiaperto.

3.6)      Lasciate raffreddare e poi mettete in frigorifero. Da consumare fredda.   


lunedì 16 aprile 2012

INSALATA DI SEPPIE

Rita: bella, gentile e competente caporeparto della pescheria COOP di Sesto San Giovanni. Venerdì mi ha consigliato le seppie: scelta felice! Quando il tuo pescivendolo ti dà qualcosa di veramente fresco è come se ti facesse un regalo: in un piatto di mare la freschezza rappresenta di gran lunga il valore più elevato di tutta la preparazione.


Dunque, si sarà capito che erano seppie molto fresche; circa un chilo: sarebbe bastato lessarle e mangiarle così, tiepide, condite con un po’ di sale, olio e limone. Ma la tentazione di arricchire il piatto con qualche aggiunta estranea è sempre forte (bisogna stare attenti a non degradarlo con addizioni improprie: l’eleganza viene più dal togliere che dal mettere, e questo è vero anche in cucina); e poi non guasta mettere in tavola anche un accompagnamento da gustare “a latere”. Così questa volta ho deciso per pomodori a dadini e olive nere da mescolare con le seppie, e patate lesse condite con olio e prezzemolo da servire a parte.

Vi racconto questa preparazione come se si trattasse di una ricetta classica, codificata in letteratura: ma un’insalata di seppie si può fare in mille modi diversi: questo è uno dei tanti. Le regole fisse sono solo due: la freschezza dei molluschi e la corretta modalità di cottura: mezz’ora in acqua non salata in sobbollimento e un’ora nella stessa acqua a fuoco spento.

Ingredienti e dosi per quattro porzioni

Per l’insalata
un chilo di seppie bianche già pulite, di grandezza media;
tre o quattro etti di pomodori ramati o perini, rossi e sodi;
due etti di olive nere (Kalamata, Gaeta o taggiasche o quello che vi piace);
il succo di mezzo limone, tre cucchiai d’olio e.v.o. e due prese di sale;
facoltativo: due carote e due coste di sedano per l’acqua di cottura e/o del vino bianco economico in quantità a piacere.

Per il contorno
700 grammi circa di patate a pasta gialla;
un ciuffo di prezzemolo;
due cucchiai di olio e.v.o. e due prese di sale.

Procedimento

1)    Sciacquate le seppie sotto l’acqua corrente; separate la sacca dai tentacoli e guardate se al centro di questi non sia rimasto l’apparato boccale: al caso asportatelo con le mani, eventualmente insieme a qualche frammento di tessuto calloso che sta lì intorno, distinguibile dalla consistenza più dura rispetto al resto. Tenetele in frigorifero fino al momento di cuocerle.

2)    Mettete al fuoco una pentola con quattro litri d’acqua o di acqua e vino bianco, senza sale e, se l’avete, qualche pezzo di carota e di sedano. Al bollore calatevi le seppie; fatele sobbollire per mezz’ora; poi lasciatele in quell’acqua a fuoco spento per un’altra oretta.

3)    Sbucciate le patate e lessatele in pentola a pressione: se di grandezza media, tipo sei per un chilo, cuocetele per 22 minuti dal fischio; se molto grosse tagliatele a metà. Lasciatele intiepidire prima di affettarle.

4)    Lavate le foglie del prezzemolo, asciugatele e tritatele con la mezzaluna o col trinciante.

5)    Togliete il nocciolo alle olive.

6)    Pelate e dissemate i pomodori (al caso guardate il post sugli spaghetti al filetto di pomodoro) e riducetene la polpa a dadini (i cuochi chiamano questa dadolata “concassé”).

7)    Al tempo giusto levate le seppie dall’acqua; tagliate i ciuffi a pezzetti e le sacche a listarelle da un centimetro circa; conditele con il succo di mezzo limone, tre cucchiai d’olio e due prese di sale. Al momento di servire mescolatevi delicatamente i dadini di pomodoro e le olive denocciolate.

8)    Tagliate le patate come vi pare; mescolatele con l’olio, il sale e il prezzemolo tritato, e servitele insieme alle seppie.





giovedì 12 aprile 2012

GIARDINIERA IN AGRODOLCE


  
Ingredienti

Verdure: cavolfiore, cipolline borettane, finocchi, carote, sedano (bianco o verde), fagiolini;

liquido di cottura: olio e.v.o., vino bianco, aceto bianco, sale, zucchero.


Dosi per una mezza dozzina di vasetti da mezzo litro

Circa due chili e mezzo (peso netto di prodotto pronto per essere bollito) di verdure nelle seguenti proporzioni:

-    cimette di cavolfiore 30% del totale (su due chili e mezzo fa 750 grammi);

-    cipolline 20% (in ipotesi, g 500);

-    finocchi a spicchi 15% (g 375);

-    il restante 35%, diviso in parti uguali fra:
  •   sedano a tocchetti da due centimetri (circa g 290);
  •  fagiolini a segmenti da due o tre centimetri (circa g 290);
  •  carote a rondelle spesse tre o quattro millimetri (circa g 290). 

 Procedimento
1)   Pesato che sia il totale delle verdure, il liquido di cottura dovrà essere pari al 70% di quel peso diviso in parti uguali fra vino bianco, olio e aceto. In ipotesi di due chili e mezzo di verdure, si useranno 600 grammi di ciascuna sostanza. 

2) Prima di essere messo al fuoco, il liquido va condito di sale e zucchero, nelle proporzioni  rispettive del 4 e dell’8 per cento. Quindi, per 1,8 chili di liquido si useranno 72 grammi di sale e 144 di zucchero.

3)   Al bollore, immersione delle cipolline, e timer a 19 minuti (18 se le cipolline sono molto piccole). Fuoco al massimo fino alla ripresa del bollore.  Dopo 5 minuti dall’immersione delle cipolline (4 se molto piccole), si butta il sedano e si rialza il fuoco al massimo. Quindi, ad ogni ripresa di bollore, si buttano in sequenza: 
      le carote,      
      i finocchi,      
      i fagiolini,      
      le cimette di cavolfiore: queste ultime dovrebbero cuocere intorno agli otto minuti.

4)   Al termine della cottura, si pescano velocemente le verdure col ragno e le si pone in una terrina (calda) al solo fine di poterle sceglierle comodamente e distribuirle in modo omogeneo nei vasetti. Si riempiono quindi i vasetti già caldi (10' in forno a 120°C) con le verdure calde, senza pressarle, e si colmano con il liquido di cottura, mescolato e ben caldo. Presselli e coperchi saranno stati preventivamente immersi in una miscela di acqua calda e aceto. Si chiudono i vasetti a caldo e si aspetta l'abbassamento dei coperchi. Così i vasi si conservano al fresco per qualche mese o in frigorifero per un anno. Il prodotto è buono da subito.

 Note 
  •      Le cipolline si trovano in vendita anche già sbucciate, e conviene prendere quelle; quasi in tutte la prima foglia è rovinata e va tolta; mediamente il peso del prodotto pronto per la pentola è la metà del peso iniziale.
  •      Anche nel cavolfiore il netto fruibile è circa la metà del lordo. -
  •      Nei finocchi e nel sedano la quantità di netto fruibile è inversamente proporzionale alla qualità che se ne vuole ottenere (le parti interne sono più dolci e tenere).
  •      La varietà delle verdure contribuisce al sapore complessivo: una conserva di solo cavolfiore è meno buona del cavolfiore della giardiniera.






mercoledì 4 aprile 2012

CARRÉ DI VITELLO




CRONISTORIA DI UN ARROSTO (INNO ALLA SEMPLICITẢ)
 Un bel pezzo di carré di vitello, dalla parte delle cotolette (all’estremità opposta c’è il nodino, con il tenerissimo filetto: per l’arrosto è preferibile la parte “cotolette” più infiltrata di grasso e tenera in modo più omogeneo); sale, olio e aromi: nient’altro.

Il pezzo pesava Kg 1,750. Non l’ho preparato in alcun modo; l’ho irrorato di olio extravergine di oliva (circa un etto) e l’ho messo in forno in una teglia sopra un letto di erbe (salvia, timo e rosmarino).


Ho infornato a 200°C ed ho sùbito abbassato il termostato a 180°C, con il timer a 60 minuti.

A metà cottura l’ho salato, cioè l’ho spolverizzato con uno di quei triti di erbe aromatiche già mescolate ad abbondante sale.


Al termine dei 60 minuti l’ho sfornato e l’ho ricoperto di stagnola ad evitare un eccessivo raffreddamento, ma senza sigillare, ad evitare un ristagno di vapore che avrebbe indurito la carne.

Ho rispettato l’obbligo del riposo per 40 minuti (poteva bastare mezz’ora) (chi non conosce l’obbligo del riposo dell’arrosto deve assolutamente leggere il manuale “L’acqua della pasta” al capitolo “Arrosto”). Poi ho scalzato la carne dall’osso con un trinciante.

Ho affettato il pezzo di carne con un coltello da arrosti, lungo e affilato; ho trasferito le fette su un piatto caldo e le ho condite con il fondo di cottura.

Ho servito il piatto di arrosto con un contorno di rostì di patate: eravamo in cinque ed è finito tutto.




lunedì 2 aprile 2012

SPAGHETTI AL FILETTO DI POMODORO


Non è ancora stagione piena per questo piatto, cioè per questi pomodori: perini rosso vivo, profumati, maturi e al tempo sodi; ma oggi sono passato da Sergio Bombini, titolare dell’omonimo frutteto di Precotto, a Milano, e li aveva: meravigliosi, invitanti, irresistibili. E non ho resistito.

Gli spaghetti al pomodoro fresco (o “al filetto” come li chiamano a Napoli) sono una preparazione tanto semplice quanto difficile: difficile perché sono tante le vie dell’errore; tanti i modi per rovinare questo piatto dagli equilibri delicati e trasformarlo in una banalità priva di fascino. Ecco i più frequenti, al fine di scansarli.

-      Alterare il rapporto pomodori/pasta: un rapporto corretto dev’essere intorno a 3 a 1, cioè circa tre etti di pomodori per un etto di pasta, o, in altri termini, un chilo di pomodori per  quattro porzioni (320 grammi di pasta).

-      Sbagliare la quantità di olio: chi va “a occhio” con l’olio deve avere grande esperienza! Meglio pesare: per un etto di pasta occorrono 20 grammi di olio; altri 7 o 8 serviranno per condire i pomodori. Cioè in tutto occorrono 27 o 28 grammi di olio (equivalenti a tre cucchiai da minestra) per ogni etto di pasta condito con il pomodoro.

-      Lasciare la preparazione troppo acquosa: senza gli opportuni accorgimenti (quelli descritti più avanti, oppure altri appartenenti ad altre ricette) si rischia di portare in tavola degli spaghetti in brodo contornati da filetti di pomodoro.

-      Salare a caso: come per l’olio. E’ triste dover aggiungere del sale a tavola, come è imbarazzante accorgersi di aver servito una preparazione troppo salata. La giusta quantità di sale si attesta intorno ai 5 grammi per ogni chilo di pomodori, ma attenzione: la dose vale per la preparazione come è descritta qui, cioè per i pomodori che, con la loro acqua andranno a ultimare la cottura di spaghetti scolati molto al dente. Questi spaghetti assorbiranno il liquido del pomodoro assieme al sale che vi si è disciolto. Se la pasta venisse tenuta nell’acqua fino a cottura ultimata e si lasciassero asciugare al fuoco i pomodori (pratica comunque sconsigliata), il sale dovrebbe essere meno perché la pasta avrebbe avuto modo di assorbire altro sale dalla propria acqua di cottura mentre il sugo di pomodoro, concentratosi con l’evaporazione, risulterebbe troppo salato.

 
Ingredienti e dosi per quattro porzioni

-      pomodori perini sodi e maturi: un chilo;

-      olio e.v.o.: g 85;

-      spaghetti: g 320;

-      aglio: 3 spicchi;

-      basilico: un paio di rametti;

-      sale: g 5.


Procedimento

1)    Lavate (ovviamente) i pomodori; pelateli e privateli dei semi. Per pelarli si immergono per 40 secondi nell’acqua bollente (non pochi istanti come si trova scritto ovunque: ci vogliono 40 secondi: meglio 45 che 35); si tuffano pochi per volta in acqua abbondante, cosicché la loro immersione non provochi un calo significativo della temperatura dell’acqua; quindi si immergono in acqua fredda a raffreddarsi. Per dissemarli si tagliano per il lungo e si svuotano con le mani.


 


2)    Tagliate a filetti i mezzi pomodori e riservateli da qualche parte al fresco fino alla fase 6)




3)    Pelate, tagliate per il lungo e private del germe i tre spicchi d’aglio, e metteteli a friggere nell’olio fino a imbiondirsi. Poiché nel largo tegame dove si comporrà la preparazione l’olio non raggiungerebbe un’altezza sufficiente a coprire l’aglio, questa operazione dell’imbiondimento andrà condotta a parte, in un pentolino.


 
4)    Lavate il basilico.


5)    Mettete al fuoco una pentola con 4 litri di acqua e 32 grammi di sale. Calcolate il tempo che dovrà intercorrere fra quando si butterà la pasta e quando si vorrà servirla: esso sarà dato dal tempo ordinario di cottura di quella pasta, meno un paio di minuti (perché andrà scolata molto al dente) più cinque minuti di mantecatura nel pomodoro. Quindi, al tempo giusto, buttate la pasta: la scolerete, ripeto, due minuti prima del solito.


6 )   Sei o sette minuti prima di scolare la pasta, mettete al fuoco un tegame da 28 centimetri; versateci l’olio in cui ha fritto l’aglio, dal quale avrete tolto l’aglio stesso, e versateci i filetti di pomodoro con i cinque grammi di sale. Fate scaldare a fuoco medio alto, rimestando di frequente, e poi continuate la cottura a calore moderato finché la pasta non sia da scolare. Noterete che in questi pochi minuti i filetti hanno prodotto una buona quantità di liquido.



 
7)    Scolate con cura la pasta e unitela ai pomodori insieme ai due rametti di basilico. Tenete in caldo a fuoco basso (non a fuoco vivace, come in altre preparazioni “al salto”: qui il liquido acquoso non deve evaporare, ma dev’essere assorbito dalla pasta), rimestando ogni tanto, finché la parte acquosa non sia stata del tutto assorbita e la pasta non abbia raggiunto il grado di cottura desiderato (dovrebbero occorrere cinque minuti circa).


8)    Servite con gioia.