martedì 29 maggio 2012

TORTA DI CILIEGIE IN STILE CLAFOUTIS



Il clafoutis (pr. clafutì) è un dolce francese di frutta (tipicamente ciliegie ma anche altro) annegata in una pastella tipo crêpe, cotto al forno. Poiché ne esistono varie versioni, io, nella mia infinita presunzione, ne ho elaborata una ulteriore, senza pretendere che si tratti proprio di un clafoutis.


Ingredienti e dosi per una tortiera da 23 o 24 cm di diametro


-      ciliegie, assolutamente sode, meglio se scure, meglio se grosse (per fare prima a denocciolarle): g 650 lordi;

-      panna fresca: g 200;

-      farina 00: g 120;

-      zucchero: g 120 + una cucchiaiata;

-      uova medio-grandi: n. 3;

-      aromi: una bustina di vanillina e la buccia grattugiata di mezzo limone;

-      sale: g 2.

-      burro: solo per ungere il bordo della tortiera.


Procedimento


1)    Imburrate e infarinate il bordo della tortiera (dalla parte interna); ricopritene il fondo con carta-forno, e su questa spargete una cucchiaiata di zucchero;

2)    lavate le ciliegie e asciugatele sommariamente; mondatele del picciolo e del nòcciolo;

3)    accendete il forno: termostato a 180°C;

4)    in una ciotola da due o tre litri, dal fondo bombato, battete le uova con 120 grammi di zucchero, usando una frusta elettrica a velocità alta: in quattro minuti dovreste ottenere un prodotto spumoso, abbastanza sodo da “scrivere”;

 
5)    mescolate gli aromi e il sale alla farina, e incorporate questa alla battuta di uova, con un cucchiaio, delicatamente ma con cura: la farina si nasconde qua e là, e occorre snidarla;

6)    mescolate al composto anche la panna, ancora delicatamente ma con cura;

7)    distribuite le ciliegie sul fondo della tortiera, e versatevi sopra il composto;




8)    infornate a 180°C e tenete per 40’ + 5’ a forno spento semiaperto;

9)    lasciate raffreddare e servite a temperatura di frigorifero; se vi piace, potete servire la torta rovesciata.








lunedì 28 maggio 2012

SPAGHETTI CON LE VONGOLE




Premessa
In genere, nei ristoranti, la pasta con le vongole si fa così: in una padella con un fondo di olio dove ha fritto dell’aglio si butta una manciata di vongole crude, col guscio; si lasciano aprire al fuoco e vi si butta la pasta bollita; si salta per un minuto e si serve. Veloce ed economico.
Controindicazioni:
a)      le vongole sono necessariamente in piccola quantità, altrimenti riempirebbero il piatto dei loro gusci; la conseguenza è un sapore piuttosto leggero, spesso controbilanciato da una forte presenza di aglio bruciato;
b)      le vongole quasi sempre contengono della sabbia: da pochissima a tanta, ma, quanta che sia, ce la si ritrova nel piatto;
c)      spesso fra le vongole si annida quella che vongola non è, o meglio, non è più: si tratta di un guscio ben chiuso, completamente ripieno di fango; i cuochi professionisti cercano di intercettarla preventivamente, facendo cadere le vongole una ad una in una catinella di acciaio o nel lavello vuoto: la falsa vongola di solito si apre e può essere scartata, ma a volte sfugge, finisce in padella e decide di aprirsi lì, rovinando tutta la preparazione; il cuoco butta via tutto e ricomincia daccapo.
Diversamente si può fare come segue.
 Scelta delle vongole
Fra i prodotti del mare i molluschi bivalvi sono quelli che danno meno problemi nella valutazione della loro freschezza: innanzitutto vanno venduti vivi, e tale circostanza è denunciata dal fatto che siano chiusi; inoltre, per legge, vongole e mitili possono essere commercializzati solo in confezioni sigillate, con una targhetta riportante la data del confezionamento: se questa è di ieri, siamo al massimo della freschezza; possono essere venduti fino al quarto giorno successivo, ma già al terzo giorno io farei a meno di comprarli.
Un elemento più problematico di scelta riguarda invece la varietà di vongole: “veraci” o “lupini”: le prime sono più grandi e offrono il vantaggio di un minor tempo di lavorazione; provengono però da allevamenti, e hanno un sapore meno caratteristico; le vongole-lupini, invece, sono un prodotto della pesca; fanno lavorare un po’ di più perché piccole, ma sono più profumate.

 Ingredienti e dosi per 320 grammi di spaghetti (quattro porzioni)
 -   1 kg di vongole;
-   80 g di olio extra vergine;
-   2 o 3 spicchi d’aglio;
-   mezzo bicchiere di vino bianco secco;
-   facoltativo raccomandato: mezzo pomodoro spellato, dissemato e tagliuzzato, o un cucchiaio di salsa leggera; attenzione: questo pomodoro, in questa ricetta, non ha niente a che vedere con le preparazioni di certe trattorie dove, alla richiesta di spaghetti con le vongole, il cameriere con aria saputa chiede: “sugo rosso o bianco?”; lì sarebbe stato meglio non esserci entrati del tutto; qui, invece, il pomodoro ha la funzione di esaltare il gusto del sugo mediante il glutammato che contiene naturalmente;
-   facoltativo raccomandato: mezzo cucchiaio di prezzemolo tritato;
-   facoltativo: un pizzico di peperoncino.

 Procedimento
 Fase 1 – preliminari
Al più presto possibile dopo l’acquisto, trattare le vongole:
1)   sciacquarle velocemente;
2)   lasciarle a bagno da mezz’ora a due ore in acqua salata al 25 per mille (25 grammi di sale per litro d’acqua): perderanno parte della sabbia;


3)   estrarle dall’acqua salata e sciacquarle di nuovo velocemente in acqua dolce: perderanno un po’ di inutile sale;
4)   metterle un po’ alla volta (ad esempio un terzo per volta) in una casseruola coperta su fuoco basso, rimestando ogni tanto, finché non siano tutte, o quasi tutte, aperte (la frammentazione della cottura ha due scopi: un miglior controllo del trattamento termico, a evitare un inutile prolungamento della cottura stessa che indurirebbe i molluschi; e la riduzione del rischio di inquinamento da parte di eventuali vongole andate a male che si manifestano, una volta aperte, con un fortissimo cattivo odore);
5)   estrarre i frutti dai gusci; buttare questi e conservare quelli; conservare con cura tutto il liquido (è il liquido l’elemento più qualificante del sugo: i frutti da soli non hanno un gran sapore); tenere da parte le vongole rimaste chiuse;
6)  rimettere al fuoco le conchiglie rimaste chiuse: alcune di loro si apriranno; le altre si possono aprire a mano, con un coltello, badando che non contengano fango o frutti andati a male (come già detto, si riconoscono dall’odore fortissimo); non lavorare sopra il contenitore degli altri frutti;
7)   mettere frutti e liquido in un contenitore, meglio se non troppo largo; agitare con una mano i frutti, come a volerli risciacquare; lasciar decantare due minuti; sempre con una mano, estrarre con calma i frutti, pochi alla volta, e riporli in un altro contenitore; lasciare decantare il liquido per altri due minuti e travasarlo trascurando il fondo; così si sarà eliminata l’eventuale residua sabbia;
8)   conservare al freddo, fino alla fase 2, i due contenitori, coperti, del liquido e dei frutti.


Fase 2 – costruzione

 
9)      Soffriggere, in un largo tegame, gli spicchi d’aglio sbucciati, tagliati per il lungo e privati del germe, con l’olio e l’eventuale peperoncino, fino a imbiondire l’aglio e non oltre;
10)  aggiungere l’eventuale pomodoro (raccomandato) e farlo asciugare un po’;
11)  aggiungere il vino e farne evaporare due terzi o un po' di più (fino a tre quarti può essere fatto evaporare);
12)  aggiungere il liquido delle vongole e farne evaporare un terzo o un po' di più ( può essere fatto evaporare fino a metà);
13)  eliminare l’aglio e aggiungere i frutti delle vongole; quindi si può alternativamente:
-         procedere con la fase 3;
-         spegnere il fuoco e attendere di essere pronti per la fase 3;
-         spegnere il fuoco, far raffreddare la preparazione, e conservarla in frigorifero, coperta, fino a 24 – 36 ore;
-         spegnere il fuoco, raffreddare, e conservare in freezer fino a tre mesi.





 
Fase 3 – conclusione

 
14)  Curare che la preparazione giunga a calore più o meno nel momento in cui andranno scolati gli spaghetti;
15)  scolare con cura gli spaghetti da uno a due minuti prima del tempo previsto per una cottura al dente, e tanto prima quanto più il sugo è acquoso; non si abbia paura di scolare troppo al dente: al caso si potrà continuare la cottura nel tegame aggiungendo un po’ d’acqua;
16)  versare gli spaghetti nel tegame del sugo e lasciarveli riposare a calore dolce, rimestandoli ogni tanto, finché non abbiano assorbito tutta la parte acquosa del sugo e non abbiano raggiunto il giusto grado di cottura;
17)  spegnere, aggiungere il prezzemolo, rimestare e servire.


martedì 15 maggio 2012

ROAST-BEEF AL FORNO

Un arrosto. Niente di più di un generico arrosto al forno utilizzando un pezzo di roast-beef:  non ditemi come lo fanno gli inglesi.
  



Poche le regole: tre, ma indefettibili. Due dettate dai grandi cuochi: per tutti il sommo Gualtiero Marchesi che dalle pagine del suo meraviglioso “Oltre il fornello” (non vi dico quali pagine, così ve lo leggete tutto) ammonisce:

1) l’arrosto non si nutre se non di grasso (per intenderci: non va mai bagnato con liquidi acquosi);

2) dopo la cottura e prima del taglio l’arrosto deve assolutamente riposare per almeno mezz’ora.

3) La terza regola è tutta mia: riguarda il tempo di cottura e fa piazza pulita di tutte le prescrizioni sommarie che si leggono qua e là e che vanno da venti a quaranta minuti al chilo. Il tempo di cottura non può essere in funzione del peso: si immagini semplicemente un pezzo da un chilo, di forma all’incirca cilindrica, lungo 13 centimetri, e un altro pezzo, dello stesso diametro, lungo il doppio e perciò pesante il doppio: ebbene, il secondo mica cuocerà nel doppio del tempo del primo, no? Cuocerà esattamente nello stesso tempo! Sicché, per determinare il giusto tempo di cottura, bisogna avere riguardo al diametro del pezzo e non al suo peso. Per questo rapporto diametro/tempo possono essere assunti i seguenti valori (con quel tanto di inevitabile approssimazione), con temperatura costante a 180°C, compreso, nel tempo, un periodo iniziale di pochi minuti di rosolatura a temperatura più alta: 35’ per 10 cm di diametro; 45’ per 12; 25’ per 8.


Ingredienti e dosi per 4-6 porzioni

-      un pezzo di roast-beef di forma regolare, già mondato del grasso e del tessuto connettivo; del diametro di 9-10 cm e di circa un chilo;

-      80 grammi di olio e.v.o.;

-      un letto di erbe aromatiche (salvia, rosmarino, timo);

-      5 grammi di sale.


Procedimento

1)    Accendete il forno a 200°.
 
2)    Legate il roast-beef con spago da cucina: per i circa 12 centimetri di lunghezza del nostro pezzo di circa un chilo, darete cinque o sei giri.

3)    Preparate la teglia o la pirofila in cui il roast-beef cuocerà in forno: dovrà contenerlo con una certa abbondanza (ma non di più) e avere un bordo non troppo alto.  Tenete a disposizione, lavati e asciugati, due o tre rametti di rosmarino e altrettanti di salvia e di timo.
 
4)    Ungete il pezzo con l’olio e salatelo col sale della dose oppure con un peso doppio di uno di quei preparati a base di erbe e sale (un perfezionista vi direbbe di salare a metà cottura, ma qui il tempo di cottura è abbastanza breve da poter salare subito e non pensarci più). Versate il resto dell’olio sul fondo del recipiente di cottura.

5)    Appoggiate sul fondo del recipiente di cottura il misto di erbe aromatiche, e sopra queste il roast-beef. Infornate a 200°C e regolate il timer a 35 minuti. Dopo 5 minuti portate il termostato a 180°C.  

6)    Allo scadere del tempo, ritirate il pezzo dal forno, copritelo con carta stagnola (senza sigillare), e tenetelo in ambiente riparato per circa mezz’ora. Non mettetelo nel forno spento, perché continuerebbe a cuocere: se volete tenerlo in un posto tiepido, badate che sia davvero tiepido e non caldo.

7)    Mettete a scaldare, nel forno spento, il tagliere sul quale affetterete l’arrosto e il piatto ove intendete riporne le fette.



8)    Al momento di servire, affettate il roast-beef a fette sottili, usando un coltello lungo e affilatissimo. Durante l’operazione di taglio, cercate di non separare le fette l’una dall’altra, ad evitare che si raffreddino. Alla fine, raccogliete tutte le fette insieme, con una paletta; adagiatele sul piatto caldo, adesso sì, allargandole un po’, e irroratele col fondo di cottura. Non fate aspettare, salvo mettere il piatto nel forno, ma solo a condizione che si tratti di pochi minuti e che il calore sia davvero moderato.



Il giorno dopo

Eccellente freddo, a fette sottili, condito con olio e limone.






sabato 12 maggio 2012

SALMONE MARINATO




 Questa volta il pesce era della Pescheria Pesce Vivo di via Sammartini, a Milano: un salmone che sembrava essere appena arrivato a nuoto dalla Scozia. Rilasciava un seducente profumo di mare: un delitto cuocerlo. E così ce lo siamo mangiato crudo: semplice poesia.

Avvertenza n. 1

Il consumo di pesce crudo comporta sempre dei rischi di natura igienico-alimentare. Fra questi, uno dei più gravi è legato alla possibile presenza, nel pesce, di “anisakis” un parassita nematode (un verme) resistente agli acidi, all’affumicatura a freddo e alle salamoie deboli, ma soccombente al calore (almeno 60°C) e al gelo (almeno -20°C). Pertanto, in applicazione del Regolamento CEE 853/2004, il nostro Ministero della Salute stabilisce con circolare n. 4379-P del 17/2/2011, che “…i prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi siano sottoposti a congelamento a una temperatura non superiore a -20°C… per almeno 24 ore…”. Tale procedura, obbligatoria per gli esercizi commerciali che vendono o somministrano preparazioni gastronomiche di questo tipo, garantisce la neutralizzazione del micidiale parassita.

Chi semplicemente vende pesce non è ovviamente tenuto a niente del genere (ci mancherebbe: il consumatore avrebbe ben da ridire se tutto il prodotto in vendita fosse reduce da uno scongelamento): deve solo accertarsi che all’esame visivo l’anisakis risulti assente. Quindi, per l’uso domestico, la responsabilità sul comportamento da tenere è tutta a carico del consumatore.

Io non ho sottoposto il mio salmone a congelamento per i seguenti motivi.

1)    Il salmone non è fra i pesci ad alta frequenza di infestazione (come invece è il pesce azzurro).

2)    L’anisakis (quando c’è) si installa nelle interiora del pesce, e solo dopo un certo tempo dalla cattura migra verso i tessuti muscolari: una rapida eviscerazione dopo la pesca blocca l’eventuale infestazione. E i salmoni arrivano in pescheria già eviscerati.

3)    L’anisakis è perlopiù visibile a occhio nudo (ha lo spessore di un capello e una lunghezza di diversi millimetri). Quando compro le alici, dopo averle pulite, lascio il prodotto dell’eviscerazione in bella mostra, a temperatura ambiente. E dopo qualche ora può succedere (negli ultimi anni sempre più di rado) di vedere emergere da quella massa proprio loro, filamenti erti e ondeggianti come suricati in vedetta: i temuti vermicelli. In questi casi butto via tutto, anche i pesci puliti, pur se avevo intenzione di consumarli cotti. Ma, ripeto, questo fenomeno, al quale assistevo ahimé con una certa frequenza fino a una decina di anni fa, ora mi si presenta molto raramente. Ebbene, anche i filetti del mio salmone, e ancor più la lisca con attaccati i residui della sfilettatura, sono stati sottoposti a questo controllo, ovviamente con esito negativo.

4)    Non esiste attività del tutto esente da rischi (nel giardino di casa si può essere colpiti da un meteorite): l’importante è che il rischio abbia una probabilità ragionevolmente bassa. Nel caso del mio salmone ho valutato il rischio di anisakis con probabilità vicina a quella del meteorite.


Ingredienti e dosi per 6 porzioni

-      un pezzo di salmone dalla parte della coda per un peso di Kg 1,2-1,3;

-      sale grosso: g 120;

-      zucchero: g 120;

-      pepe bianco in grani: un cucchiaio;

-      bacche di ginepro: una quindicina;

-      finocchietto selvatico: un mazzetto (quantità assolutamente a piacere).


Avvertenza n. 2

Non ditemi che nel “gravad lax” (salmone marinato alla moda svedese) non ci vanno le bacche di ginepro, né che ci vuole l’aneto e non il finocchietto selvatico: io non vi sto dando la ricetta del gravad lax, ma del salmone marinato come l’ho fatto io e come è piaciuto ai miei commensali.

Procedimento

1)    Preparate la salamoia (in questo caso “salamoia asciutta”): spezzettate pepe e ginepro pestandoli in un mortaio o con un pestacarne dentro un pentolino; se il sale è molto grosso praticategli il medesimo trattamento; aggiungete lo zucchero e mescolate il tutto. 

2)    Mettete il trancio di salmone su un tagliere. Cominciando da una qualsiasi delle due estremità, infilate la lama di un coltello (affilato, è il caso di dirlo?) fra la parte superiore della lisca e la polpa, e tagliate via il filetto superiore, cercando di tenere il coltello sempre aderente alla lisca (per avere il minore scarto possibile). Fate lo stesso con l’altro filetto, e avete finito di sfilettare, salvo depurare i filetti da eventuali lische che vi fossero rimaste attaccate. Se non ve la sentite di affrontare questo compito, il vostro pescivendolo sarà lieto di farlo per voi, ma forse non ci metterà altrettanto amore.



3)    In un contenitore di adeguate dimensioni, in materiale resistente alla corrosione del sale (vetro, ceramica, acciaio inox) spargete un quarto della salamoia; adagiatevi i filetti con la pelle in basso e copriteli col resto della salamoia; coprite con un foglio di carta-forno, un tagliere e un peso. Lasciate marinare a temperatura ambiente per un paio d’ore.

4)    Scolate l’acqua che il salmone ha rilasciato; ricoprite i filetti con le foglie di finocchietto tritate; rimetteteci sopra il foglio di carta-forno, il tagliere e i pesi, e ricoverate il tutto in frigorifero per 24 ore, eliminando ancora l’acqua di colatura per un altro paio di volte.

5)    Dopo le 24 ore, lavate i filetti sotto l’acqua corrente e asciugateli bene con carta da cucina. Quindi affettateli finemente tenendo il coltello inclinato a circa 30° sul piano di lavoro e conditeli con una spruzzata di limone e un filo d’olio immediatamente prima di servire.



6)    Potete accompagnare il salmone con un’insalata di finocchi, o un’insalatina verde, o patate lessate o quello che piace a voi.


martedì 8 maggio 2012

PARMIGIANA DI MELANZANE



Ancora una ricetta di un piatto classico, ma senza alcuna pretesa di autenticità: la mia parmigiana è una delle tante possibili, elaborata nell’obiettivo di un prodotto finale di buon sapore e sostenibile leggerezza.

 Ingredienti e dosi per una teglia di cm 22-23 x 30-31
-      melanzane comuni (viola oblunga): kg 1,3;

-      sale fino g 30;

-      olio per friggere: un litro;

-      mozzarella di qualità a piacere: g 600;

-      salsa di pomodoro di media consistenza, non salata: g 500;

-      parmigiano (o grana) grattugiato: 5 cucchiai.


Procedimento

Preludio

Tagliate le melanzane a fette, rotonde o per il lungo, non ha importanza: l’importante è che siano tutte di spessore compreso fra otto e nove millimetri.

Ponete le fette a strati in una bacinella e spolverizzate ogni strato di sale fino: dovreste utilizzarne fra 25 e 30 grammi.

Coprite con un piatto e schiacciate con un peso.

Lasciate riposare un paio d’ore.

L’operazione ha lo scopo di togliere alle melanzane acqua e amaro.


Intermezzo

Levate le fette di melanzana dall’acqua che hanno cacciato e sciacquatele generosamente in abbondante acqua fresca.

Sovrapponete le fette a “pacchetti” di setto o otto e premetele forte fra le mani al fine di liberarle dall’acqua in eccesso. Finite di asciugarle interponendole in unico strato fra fogli di carta da cucina.

Infarinate le fette (l’infarinatura rende il fritto più croccante e, fatto non trascurabile, evita gli schizzi di olio) e friggetele in abbondante olio di semi (io ho usato una casseruola bassa da 28 cm e un litro d’olio): devono venire asciutte, che prese per un’estremità rimangano tese: dovrebbero bastare due minuti per volta. Appoggiatele in unico strato fra fogli di carta da cucina.




Finale

Coprite il fondo della teglia con un mezzo mestolo di salsa. Le melanzane portano ancora residui di sale e di olio di frittura: per questo la salsa dev’essere priva di sale e di olio: puro pomodoro.

Stendete nella teglia uno strato di fette di melanzane; copritelo con salsa quanto basti a colorirlo; spolverizzatelo con un cucchiaio di parmigiano e ricopritelo con metà della mozzarella a fettine.


 
Idem con il secondo strato.



Il terzo e ultimo strato di melanzane andrà coperto con solo pomodoro e parmigiano: il primo un po’ più abbondante che per gli strati precedenti; il secondo nella misura di tre cucchiai.



Infornate a 180°C e tenete per 40’ o finché la superficie non dia timidi accenni di coloritura.
Fate riposare qualche decina di minuti prima di servire. Ottima anche fredda.

giovedì 3 maggio 2012

COZZE GRATINATE





Ingredienti e dosi per due porzioni

-    una trentina di cozze grandi;

-    50 grammi di olio e.v.o.;

-    30 grammi di pane rustico grattugiato di grana mista (così come esce dalla vostra grattugia);

-    1 spicchio medio di aglio;

-    30 grammi di foglie di prezzemolo pesate già lavate e asciutte.


Procedimento

1)    La scelta

Se le cozze che avete comprato per la vostra zuppa vi sembrano sovrabbondanti, toglietene una trentina fra le più grandi e destinatele a questo scopo; la zuppa  la farete con quelle più piccole.

Seguendo quindi la ricetta della zuppa di cozze ci troviamo al termine della fase “duro lavoro”. Ma per noi il duro lavoro non è finito: adesso, prima di accedere alla fase finale, occorre affrontare un passaggio impegnativo: l’apertura delle cozze.

 2)   Un po’ di abilità

Tenete saldamente nella mano sinistra una cozza: la parte a punta verso il palmo e il lato diritto in alto (dalla parte opposta, verso il basso, il profilo del guscio disegna un angolo). Altrettanto saldamente tenete nell’altra mano un coltellino a lama piatta, di media affilatura. Con il filo della lama cercate il punto di accesso fra le due valve, lungo la linea curva che sta verso l’alto, là dove finisce il lato diritto; premete adeguatamente finché non riuscirete a introdurre la lama fra le valve. A questo punto il gioco è fatto: facendo leva con la stessa lama, aprite le valve, e separate l’una dall’altra. Appoggiate da qualche parte le cozze aperte e buttate via i ricettari che dicono di aprirle al fuoco (ovviamente per questo scopo, non se si tratta di una zuppa).





3)    Ordine e preparazione al finale

Da ogni valva staccate con un cucchiaino il mezzo frutto e fatelo cadere sull’altro mezzo frutto della valva compagna. Allineate le singole valve con dentro ciascuna un frutto intero in una teglia e buttate via quelle rimaste vuote.


 4)    Finale

Tritate l’aglio con la mezzaluna; poi unitevi il prezzemolo e tritate anch’esso (se provaste a tritare tutto insieme, l’aglio rimarrebbe a pezzi grossi). Spargete su ogni valva una punta di cucchiaino di trito aglio/prezzemolo, altrettanto di pangrattato e un filo di olio: alla fine dovreste aver utilizzato giusto le tre dosi definite all’inizio della ricetta. Infornate a 180°C e tenete per 18-20 minuti. Servite calde o tiepide.




Problema

C’è un piccolo problema di galateo gastronomico: si dice che in un pranzo lo stesso cibo non debba entrare in più di una preparazione (con l’eccezione dei funghi). Che fare allora con le nostre cozze gratinate e con la contemporanea zuppa di cozze? Il problema si può risolvere in quattro diversi modi:

I°) Ignorando la regola e mangiando allegramente il gratin per antipasto e la zuppa a seguire.

II°) Raffreddando la zuppa e conservandola per servirla riscaldata il giorno dopo.

III°)  Come sopra ma con riferimento alle cozze gratinate.

IV°) Surgelando le cozze gratinate per consumarle quando ci pare, previo passaggio in forno a 180°C per nove o dieci minuti. In questo caso, come nel precedente, l’originario tempo di cottura può essere vantaggiosamente ridotto di un paio di minuti.